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DONEGAL: il paradiso dei pescatori

E’ una terra magica e di paesaggi sconfinati, il Donegal, dove la presenza dell’uomo è ridotta al minimo. Qui i centri abitati sono pochi e sparsi e la popolazione conserva gelosamente il ricordo di antiche tradizioni. Questa è la contea più selvaggia d’Irlanda, dove la lingua gaelica è più diffusa e parlata. La sua storia affonda in un passato così lontano e oscuro che farebbe la felicità d’uno scrittore di letteratura fantasy. Il nome del paese, Dun Na nGall, significa la fortezza degli stranieri. Su quali stranieri fossero gli studiosi sono d’accordo nell’indicare i vichinghi, che qui stabilirono un punto di difesa.

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Fanad Head

Una terra protesa verso l’oceano, col vento e le onde che esplodono contro le scogliere. Certi giorni, al mattino, la superficie brilla alla luce del sole e alla sera si nasconde sotto una coltre di nebbia bassa e fitta. Ancora oggi il faro di Fanad Head, di notte, sembra una luce accesa più per tranquillizzare chi sta a terra che per orientare i folli che si avventurano in mare.

In Irlanda e soprattutto qui nel nordovest si vive di simboli e rimpianti. La bellezza di questi luoghi è indubbia, in bilico fra serenità e dolore, allegria e malinconia. Qui c’è uno dei luoghi più sacri d’Irlanda. E’ il lago di Derg, isolato, circondato da brughiere e colline d’erica, dove ogni anno migliaia di pellegrini si recano sull’isolotto di Station, il cosiddetto Purgatorio di San Patrizio, dove il santo era solito ritirarsi in preghiera in una caverna, nonostante la grotta sia chiusa da tempo (nel 1457 per ordine di Papa Alessandro VI).

La pesca nel Donegal

Irlanda-costa_del_DonegalUn altro emblema del Donegal si materializza in un pesce. E’ la sea-trout, quella che dappertutto, nei paesi anglosassoni, viene chiamata appunto la trota di mare, ma che in Irlanda riceve il nome di white trout, trota bianca. E’ il trofeo più ambito di un pescatore degno di questo nome. Sarebbe una normale trota fario se non avesse l’abitudine di gettarsi in mare dopo un paio d’anni di vita trascorsi nei laghi e fiumi. Tornerà con una livrea bianca d’argento anziché bruna come le sue sorelle sedentarie, quasi un abito da sposa per riprodursi dopo aver conosciuto le profondità dell’acqua salata.

Dio ama i pescatori, altrimenti non avrebbe creato l’Irlanda”, dice un adagio che corre da Belfast a Cork. Per gli adoratori della lenza il Donegal è un paradiso. Un tripudio di ruscelli, fiumi e laghi che pullulano di pesci.

Guida davvero indispensabile, per gettare l’amo nel Donegal e in tutta l’Irlanda, è un libretto da pochi euro. Si intitola A man may fish. L’ha scritto Kingsmill Moore (1893-1979), giudice della Corte suprema e gentiluomo di campagna che per 70 anni ha pescato in tutti i luoghi dell’isola. Alcune delle esche artificiali più celebri sono state inventate da lui. Chi ha avuto o avrà la fortuna di insidiare la trota bianca una sera nel Donegal, in perfetta solitudine, capirà meglio le proprie emozioni leggendo una pagina di sir Kingsmill.

Pescare all’imbrunire”, dice, “è un sedativo per la mente affaticata. Anzi più di un sedativo: una via di fuga all’infinito, una salvezza dell’incombenza del presente per immergersi in un pianeta senza orologi o calendari. Mentre scende la notte il fiume prende il sopravvento. La sua voce si alza, riempie la valle sino all’orlo delle colline, una voce fatta di cento, mille voci diverse. Tempo e spazio si dissolvono. I secoli perdono di senso. Un piede varca l’invisibile frontiera che divide la terra dalle vecchie divinità. Nel buio senti il fischio d’una lontra, il latrato d’una volpe. Se non hai paura, guarda alle tue spalle: sulla riva imbiancata dalla luna vedrai l’orma aguzza d’un fauno…”.

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