Innsbruck, capoluogo del Tirolo, a due passi dal Brennero e da casa nostra, ha tanto da offrire. C’è il fiume Inn, che dà il nome alla città e le acque al Danubio. Ci sono i monti: il più vicino è l’Hafelekar, un gigante di quasi 2.400 metri su cui s’arrampica una funivia. Qua e là c’è persino qualche drago: uno, per esempio, è scolpito da 500 anni sulla porta della chiesa di San Giorgio, a Trins, pittoresco paesino della Gschnitztal, una valle fuori porta sotto il ghiacciaio dello Stubai, ai cui piedi si va a sciare con un trenino rosso che pare uscito da un cartone animato di Heidi.
E c’è anche del cristallo. Anzi, ce ne sono milioni, visto che un sobborgo di Innsbruck, Wattens a 15 chilometri, è oggi capitale europea del settore. Infatti, proprio qui ha sede la Swarovski, azienda nata artigianale nel 1895 e diventata con il tempo una grande industria: un colosso capace di dare lavoro a circa 10 mila dipendenti e di sfornare ogni giorno tonnellate fra gioielli, vasi e soprammobili così luminosi da fare invidia. Grazie a quell’azienda dal nome slavo, Wattens ha ottenuto un posto nel Guinness dei primati, perché possiede il cristallo più grande del mondo: una gemma che pesa 62 chili, ha cento facce e dichiara 300 mila carati.
Nel ’95, per celebrare i cento anni dell’azienda, appena fuori dai cancelli della fabbrica, è nato il faraonico museo d’arte Kristallwelten che espone opere di mezzo mondo, tutte ispirate, ovviamente, al cristallo. A progettare il museo è stato chiamato André Heller, artista multimediale austriaco; a decorarne i saloni sono stati scelti pezzi firmati da nomi del calibro di Salvador Dalì e Andy Warhol. Risultato: un’attrazione di livello internazionale.
Appena tornate da Wattens verso Marie Theresien Strasse, la via elegante del centro, vi accorgete dell’anima profonda di Innsbruck. Un’aquila rossa sventola sulle bandiere, i campi fuori porta sono assediati dalla neve, che tinge di bianco la valle per quattro mesi l’anno e le cime più alte per 12; in centro, poi, a brillare più di tutto non è una gemma da record, ma il Goldenes Dachl, un lezioso balcone del ‘400 con un tetto fatto di circa 2.700 tegole di rame dorato.
Proprio il “Tettuccio d’oro”, sfavillante status symbol voluto dall’imperatore Massimiliano I, sotto il cui regno gli Asburgo divennero la più potente dinastia d’Europa, è l’emblema di Innsbruck. All’ombra di quel balcone, nella centrale Herzog Friedrich Strasse, sfila tutto ciò che conta: dai cortei di carnevale a quelli di protesta per i troppi camion in arrivo dal Brennero, dai raduni degli Schutzen al pellegrinaggio dei turisti italiani, che calano fin qui a fare incetta di speck e strudel nelle botteghe rionale. A dicembre, sotto il Goldenes Dachl sfilano anche le bancarelle del mercatino di Natale, grondanti di dolci, ninnoli e magica malinconia.
Una città da sciare
Intorno a quei ninnoli si estende la città più alpina di tutta l’Austria, già sede per due volte (nel ’64 e nel ’76) delle Olimpiadi invernali: una strana città Innsbruck, dove le piste da sci arrivano quasi in centro; dove la costruzione più alta non è un campanile, ma il trampolino olimpico, dove persino lo zoo si adegua al clima tutto neve, perché non esibisce tigri o leoni ma animali alpini, come camosci, stambecchi e lepri bianche. Siamo del resto in una stazione di sport invernali. Ma non solo, perché questa è una città vera.
A volte Innsbruck, la città sull’Inn, ostenta finezze da piccola, elegante capitale. Ha regge imperiali (Hofburg) e cstelli fuori orta (Schloss Ambras); ha un’università, chiese barocche, ricchi musei; su Maria Theresien Strasse ha persino un arco di trionfo. A voler così la città furono gli Asburgo, che coccolavano Innsbruck per evitare che il rigido orgoglio tirolese diventasse autonomismo. Missione non proprio riuscita, perché Vienna resta lontana: questo è un mondo con usi, eroi e lingua a sé. L’eroe numero uno è Andrea Hofler, originario della Val Passiria, e gli abiti dei giorni di festa restano i trachten, i tipici costumi con calzoni corti e calzettoni con i pompon.
Ma che cosa c’è dietro questo piccolo mondo alpino, così magico nelle sue atmosfere e così incrollabile nelle sue certezze? In economia, per esempio, c’è una miriade di aziende medio-piccole, a conduzione familiare, la più antica di tutte si chiama Grassmayr, è una frabbrica di campane nata nel 1599 e tramandata poi di padre in figlio.
Il “pezzo” più pesante mai prodotto dalla famiglia Grassmayr è stato venduto vicino a Francoforte. Invece, il più antico tuttora in funzione, fuso nel 1635, si trova in Alto Adige: a sentirlo suonare è la gente di Natz, un paesino presso Bressanone. Nell’azienda non esiste produzione di serie. Ciascun esemplare di campana fa storia a sé e viene creato come tradizione vuole, secondo tecniche uguali da più di 400 anni.
FA DA SÉ
Eppure, dietro la facciata immutabile, Innsbruck da qualche decennio non è più solo una città di tetti d’oro, campane di bronzo e calzettoni con i pompon: non lo è più politicamente, né economicamente, né culturalmente. Anzi, non lo è più neppure etnicamente, perché oggi circa il 15 per cento dei sui abitanti è fatto di immigrati stranieri. Vicino al centro c’è un rione dove ormai si parla più turco che tedesco. E nella vicina Stubaital, dove un’antica tradizione minerario-metallurgica richiama più manodopera che altrove, non è raro vedere per strada donne analotiche con occhi neri e velo in tinta, che fanno pendant con biondissimi uomini in trachten.
Dal punto di vista culturale Innsbruck ha un suo evento di richiamo: è il Tanzsommer, il più importante festival austriaco di danza moderna, che calamita ogni estate migliaia di spettatori.
Per Innsbruck il Tanzsommer è stato una vera rivoluzione: improvvisamente la città si è ritrovata in casa artisti di tutto il mondo, scoprendo che i ritmi dell’afro-dance possono appassionare almeno quanto le bande degli Schutzen. Così il Tanzsommer si è allargato: ora alla rassegna estiva si affianca un’attività che spazia su tutto l’arco dell’anno, rivolgendosi a un pubblico di ogni ceto e età, compresi i bambini, cui sono dedicati appositi laboratori teatrali. E sotto Natale viene organizzato anche un ciclo concerti di musica tradizionale rivisitata.