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L’Italia del borgo: Bagnoreggio e Calcata

Bagnoreggio, un borgo che può svanire

L’antico borgo è condannato. Pochi anni ancora, forse dieci, forse venti, forse pochi mesi, e poi la fine è sicura. Che resista ancora, appollaiato sul tufo, circondato da tutte le parti solo d’aria, come un uccello sulla punta più alta e inaridita di un paesaggio morto; che resista ancora, sbranato dai terremoti, corroso dalle acque, è più miracolo che cosa vera, più leggenda che realtà. Il suo nome è antico e semplice: Civita senza aggettivi e senza altre specificazioni”.

Queste le parole di Bonaventura Tecchi (1896-1968), docente universitario di lingua e letteratura tedesca, saggista e scrittore, premio Bancarella con il romanzo Gli Egoisti (1959), nativo di Bagnoregio, che al suo borgo evanescente è sempre tornato con nostalgia e rimpianto. A lui si deve la più bella e terribile definizione di Civita: “la città che muore”.

Il destino quasi segnato del luogo, il paesaggio irreale dei calanchi argillosi che assediano il borgo, i loro colori tetri che contrastano con quelli dorati del tufo, fanno, però, di Civita un luogo unico, solare e cupo insieme, vivo o spettrale, a seconda dell’umore di chi lo guarda.

Un paese che, dicevamo, posto su un colle che frana, è probabilmente destinato a sparire. E non c’è niente da fare. Infatti il colle tufaceo su cui sorge Civita di Bagnoregio, a pochi chilometri dal lago di Bolsena, è minato alla base dalla continua erosione di due torrentelli che scorrono nelle valli sottostanti e dall’azione delle piogge e del vento: si sta sgretolando, lentamente ma inesorabilmente.

Civita di bagnoregio Italia particolare del borgo
Civita di Bagnoreggio

Il borgo, dove vivono ormai poche coraggiose famiglie, quelle per lo più titolari di un’attività commerciale sul posto, sta franando, evaporando, si sta smarrendo: un domani non sarà che un ricordo, come i sogni più belli, come tutto ciò che rivela la fragilità, l’impotenza umana.

Un luogo che fu etrusco ed è così pieno di mistero, di vestigia non ancora interpretate, di cunicoli sotterranei, così romantico, così immensamente bello, soprattutto la sera, quando si accendono le luci in piazza Sant’Agostino. Forse è anche questo senso di precarietà che affascina a Civita.

Calcata, un borgo dalla doppia vita

Destino simile ha avuto un altro piccolo borgo, Calcata, questa volta nelle vicinanze del Lago di Bracciano.

Calcata ha rischiato di morire e il perché lo si capisce in subito. Basta dare un’occhiata alle sue case aggrappate alla rupe circolare di tufo scavata, nel corso dei secoli, dal torrente Treja, che non permette nessuna espansione del centro abitato. Così il paese, nei primi decenni del secolo scorso, iniziò a essere lentamente abbandonato e a conoscere una situazione di estremo degrado.

Tra gli anni 60 e 70 gli abitanti erano ridotti a una ventina di anziani, ma fu proprio in quel periodo che partì la rinascita: alcuni artisti s’innamorarono del borgo, restaurarono le case e v’insediarono i loro laboratori, creando spazi dove esporre le loro opere. Il risultato è che adesso tra gli stretti vicoli di Calcata, raggruppati attorno alla chiesa parrocchiale, si trovano gallerie d’arte e associazioni culturali, artigiani e intellettuali, che danno vita ad un ambiente in grado di attirare il viaggiatore alla ricerca di mete “alternative” a due passi da Roma.

Le botteghe di Calcata presentano un assoluta originalità. Oltre alle classiche forme d’arte, come pittura e scultura, offrono diversi esempi di artigianato di qualità. Si va dalla lavorazione del vetro a quella dl ferro, dalle maschere a tessuti, dalla ceramica all’antiquariato.

Anche il territorio che circonda Calcata, una fitta vegetazione di lecci, querce e conifere protetta dal un parco naturale regionale della Valle del Treja, istituito nel 1982, e il torrente, che nei pressi della vicina Mazzano Romano, dà vita alle suggestive cascate di Monte Gelato, meritano una visita.

Per arrivare da Roma bisogna percorrere la SS2 Cassia e poi seguire le indicazioni per Mazzano Romano.

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